mercoledì 29 febbraio 2012

Come loro nessuno mai

Nascere tifoso di una cosiddetta "grande squadra", come Juve, Milan, Inter o Roma, è senz'altro un'enorme sfortuna. Ne sono profondamente convinto. L'assuefazione alla vittoria, alla competizione ad alto livello, ti nega la gioia incontenibile del successo totalmente inatteso, impronosticabile, probabilmente irripetibile.
Una "grande squadra" ha vinto, vince e vincerà sempre qualcosa. Magari con qualche anno di buco nero tra uno scudetto e una coppa, che talvolta può assumere dimensioni considerevoli (vedi gli anni Novanta e Duemila da barzelletta dell'Inter); prima o poi, però, è certo che la ruota girerà, e arriverà un Mourinho qualunque a risarcirti di tutto con un "triplete".
Quando invece nella Storia del calcio accade qualcosa di completamente assurdo e illogico, quando a festeggiare sono i tifosi di una squadra su cui nessuno alla vigilia avrebbe onestamente scommesso un soldo bucato - neanche loro stessi! - allora quella gioia si sublima nell'estasi pura, in uno stordimento che non è esattamente di questo mondo.
Invidio - Dio solo sa quanto - gli odiati cugini veronesi per i brividi dello scudetto dell'85 (rimarchiamolo per dovere di cronaca: l'unico campionato con il sorteggio integrale degli arbitri...). Li invidio a morte, perché solo loro sanno quanto, e per quanto tempo, hanno goduto come ricci in ogni cellula del loro corpo.
Nel mio piccolo, io posso dire che non ho dormito la notte del 29 maggio 1997. Sono tornato a notte fonda da Piazza dei Signori, il cuore di Vicenza, dov'ero rimasto a cantare, saltare, brindare, godere con mio papà, mio fratello, i miei amici e migliaia di tifosi in un'orgia collettiva meravigliosa. Stremato, con la gola in fiamme, ma ancora pervaso dall'adrenalina, ho acceso la tv e ho girato qualunque canale per rivedere almeno altre dieci volte le immagini che qualche ora prima allo stadio mi si erano impresse negli occhi e nel cuore.
La coreografia da brividi. Il terremoto sugli spalti. Il gol di Maini, quello di Rossi, quello di Iannuzzi. Il vecchio stadio Menti impazzito.
Avevamo vinto la Coppa Italia. Neanche Gibì Fabbri e Paolo Rossi c'erano riusciti. Il momento più alto in 95 anni di storia biancorossa. Stavo sognando? No, il Vietnam in gola bruciava troppo per essere un'illusione. Avevamo vinto davvero, e io avevo 17 anni e una maglia biancorossa sudata di vino e di gloria addosso. L'avrei raccontato ai miei figli e ai miei nipoti. Più forti del Napoli, più forti del Milan, più forti della Juve, più forti dell'Inter, più forti del Verona. Più forti di tutti.
Impossibile, ma vero.
Tenetevi le vostre Champions e i vostri scudetti "che prima o poi arrivano", non farei mai a cambio.
Il 29 maggio 1997 io c'ero, e ho raggiunto l'estasi inarrivabile e irripetibile del godimento calcistico.


venerdì 24 febbraio 2012

Maglia abbagliante, gol folgorante

Viviamo anni di forzata sobrietà, di generale malcontento per il presente, di magre speranze per il futuro.
Ci aggrappiamo ai miti del nostro passato per ritrovare conforto e certezze. Lo stile delle maglie da calcio non fa eccezione: oggi molte squadre propongono una prima divisa ufficiale che almeno in qualche particolare richiami le maglie storiche, soprattutto degli anni Sessanta e Settanta.
Ma non è sempre stato così.
Negli sgargianti, frivoli e spendaccioni anni Ottanta, c'era un'assoluta voglia di novità: tutto quello che era passato sapeva di vecchio, inadeguato, quasi imbarazzante.
Colori fluorescenti, effetti tridimensionali, materiali sintetici: ecco come doveva essere una maglia da calcio al passo con i tempi. E ce n'era una davvero perfetta, il sogno di tutti noi bambini: la maglia dell'Olanda agli Europei 1988.
Una maglia entrata nella storia - col senno di poi - per la sua bruttezza, ma soprattutto per questo gol segnato da Marco Van Basten nella finale contro l'Unione Sovietica. Un tiro al volo da manuale del calcio, che tutti noi, dopo averlo visto in tv, abbiamo provato ad imitare almeno una volta.
Per avvicinarmi all'inarrivabile modello, qualche mese dopo per il compleanno mi sono addirittura fatto regalare le scarpette da calcio Diadora modello Van Basten: un "must" assoluto per tutti i ragazzini che sognavano di diventare un calciatore e segnare un gol così.
Bellissime. Scintillanti. Al passo con i tempi. Perché il logo, naturalmente, era verniciato di arancione fluorescente...




giovedì 23 febbraio 2012

Non ancora codino, già divino

C'era una volta Novantesimo Minuto.
Con le partite tutte in contemporanea alla domenica pomeriggio, senza alcuna diretta televisiva, quello delle 18.15 con Paolo Valenti su Raiuno era un vero rito collettivo di massa, il momento più atteso da milioni di tifosi di tutta Italia per vedere, finalmente, tutti i gol della giornata.
Il 17 settembre 1989, come tutte le domeniche della mia infanzia e della mia adolescenza, ero a Sossano: un paesino alle pendici dei Colli Berici dove abitavano i miei nonni materni Marino e Giuditta, i miei zii Antonio e Tiziana e mia cugina Giovanna.
Io e lei, sempre insieme. Cinquanta giorni di differenza: io sono nato il 9 ottobre 1979, lei il 30 novembre dello stesso anno. Ritrovarsi, ogni domenica pomeriggio, era una festa. Ore ed ore a giocare in strada con gli altri bambini del quartiere. Lei, ovviamente, costretta ad essere un maschiaccio, unica femmina che giocava a calcio con altri sei o sette bambini.
Alle 18.05, però, si tornava tutti a casa di corsa, almeno per un'oretta: c'era Paolo Valenti, c'erano i gol.
Quella sera, quando rientrammo, lo zio Antonio disse: "Sono curioso di vedere il gol di Baggio. Alla radio hanno detto che è stato un capolavoro". Si commentavano sempre con particolare orgoglio e piacere, le prodezze di Robertobaggio - tuttoattaccato, naturalmente, come l'altro mito, Paolorossi: per forza, era vicentino e aveva giocato nel Vicenza fino a pochi anni prima. Il nostro campione.
Adesso giocava nella Fiorentina, quel giorno impegnata al San Paolo contro il Napoli di Maradona.
L'anno successivo, Robertobaggio si sarebbe imposto sul palcoscenico di Italia '90, sarebbe passato alla Juventus, si sarebbe fatto crescere il codino e avrebbe poi raggiunto gli apici della sua carriera con il Pallone d'Oro, il Mondiale quasi vinto da solo negli Stati Uniti, e poi le parentesi grigie con Milan ed Inter, ma anche le ultime memorabili perle a Bologna e a Brescia.
Sì, ma tutto questo, quella domenica, doveva ancora venire.
La classe, però, quella c'era già tutta. Divino dalla nascita, per grazia ricevuta.

(il gol di Baggio è al minuto 1:20; il filmato è il resoconto delle fasi salienti della partita, con mini-intervista iniziale a Maradona e intervista a Baggio che alla fine commenta il suo stesso gol alla moviola )

mercoledì 22 febbraio 2012

Campioni del Mondo

Sono arrivato troppo tardi per ricordarmi Pablito che fa piangere il Brasile o l'urlo di Tardelli al Bernabeu.
Estate 1982, non avevo ancora tre anni.
All'epoca delle due affermazioni consecutive del 1934 e 1938, invece, ci volevano ancora un paio di generazioni per concepirmi.
Per me, quindi, siamo diventati Campioni del Mondo a Berlino nel 2006. E, certo, ricordo la snervante sequenza di rigori contro la Francia. E, certo, ricordo Civoli che esulta dicendo "Il cielo è azzurro sopra Berlino!" - formula troppo costruita, però, per toccare nell'intimo come i tre "Campioni del Mondo! Campioni del Mondo! Campioni del Mondo!" scanditi da Nando Martellini 24 anni prima.
Ma il "mio" Mondiale del 2006 rimarrà per sempre legato al ricordo della semifinale con la Germania. Una partita di sofferenza, e non solo per gli azzurri in campo: io l'ho vista alla tv nell'appartamentino che a quel tempo occupavo in affitto a Torino, dove lavoravo; per l'occasione mi avevano raggiunto da Vicenza mio papà Giancarlo, mia mamma Marina e mio fratello Alessandro.
Il televisore era molto vecchio, e talvolta iniziava a far ballare l'immagine in alto e in basso. Occorreva assestare qualche scapaccione deciso, insistendo su punti ben definiti, perché l'immagine smettesse di oscillare.
Durante quella partita, ci sono volute diverse sberle, spesso in momenti delicatissimi. Gli improperi dei tre maschi davanti alla tv non sono riferibili.
L'ultimo schiaffone al fianco del televisore, l'ho assestato pochi secondi prima di questo calcio d'angolo.
Non sapevo che, di lì a pochissimo, ci avrei rimesso una corda vocale a furia di gridare...


Il più bello per me

Se devo sceglierne uno solo, allora non ho dubbi. 29 febbraio 2004. Stadio Bentegodi di Verona.
Verona-Vicenza.
La madre di tutte le partite.
Non ho mai visto i biancorossi battere i gialloblu a casa loro.
Ci vuole il 29 febbraio di un anno bisestile perché il miracolo si compia, al termine di un incontro combattutissimo che fa saltare il cuore in gola a tutti i tifosi presenti.
Una girandola di emozioni. Vantaggio biancorosso con Bonanni al 9', pareggio su sfortunata autorete di Tamburini al 39'. Nella ripresa, il Verona ci mette sotto e passa quasi subito: Myrtai porta in vantaggio i gialloblu dopo appena 10', ma al 21' ci pensa Massimone Margiotta con un bolide su punizione a pareggiare i conti.
Potrebbe andar bene così, ma il Dio del calcio la pensa diversamente.
A dieci minuti dalla fine, l'arbitro - in questi casi, a prescindere, cornuto e venduto - fischia un rigore per il Verona. Sul dischetto si presenta Myrtai, la nostra sorte sembra segnata. E invece Avramov lo para.
Si può godere di più?
Sì, si può. Perché meno di due minuti dopo, quando anche un pareggio sembra tanta ma tanta roba, viene scritta la Storia. E la firma è di un Carneade che si è appena alzato dalla panchina: si chiama Gilberto Zanoletti, e a Vicenza metterà insieme in tutto 18 presenze, per lo più di pochi minuti, senza lasciare quasi alcuna traccia.
Rimane però, e brilla come un diamante, questo contropiede concluso con un tocco d'esterno: agli esteti del calcio dirà poco o niente, ma io impazzisco di gioia. Oggi davanti al pc come allora sugli spalti.


(avrei voluto trovare un link video solo per il gol con gli effetti dello stadio o una telecronaca dal vivo, purtroppo ho scovato solo questo video riassunto della partita con musica di sottofondo... il gol di Zanoletti è al minuto 4:20)